mercoledì 18 giugno 2008

Il 33,41% dei reati sono commesi da stranieri e gli altri 76,69% chi li commetti?

Adesso chi sostiene che cittadini italiani e stanieri abbiano la stessa propensione a deliquere dovrà stare zitto.
Il Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell'Interno ha reso noti i dati riguardo ai reati compiuti nel 2005, dai quali viene fuori che il 33,41% di questi è stato compiuto da cittadini non italiani (sopratutto clandestini), e gli altri 77 circa di reati sono compiuti dagli stessi italiani.
Poi non mi sembra che in Italia, nonostante la massiccia invasione di questi anni, ci sia uno straniero ogni 3 persone... infatti essi rappresentano solo il 4% dei residenti.
Qualcosa dunque non torna... o forse la sensazione di disagio e di intolleranza che sta piano piano crescendo è, parzialmente, giustificata?
Detto questo, non voglio cadere nel luogo comune secondo cui gli italiani sono degli stinchi di santo e gli stranieri tutti delinquenti, però il dato merita una riflessione.

Immigrazione e Criminalità

Quella del rapporto fra immigrazione e criminalità è una questione delicata e difficile. Non solo nei quotidiani, ma anche nelle riviste scientifiche, i dibattiti che avvengono su questo tema risentono più delle posizioni politiche dei partecipanti che delle analisi dei dati di fatto. Prendiamo, per esempio, quattro proposizioni. La prima dice: "l’immigrazione provoca sempre l’aumento del numero di reati nel paese di arrivo". La seconda dice: "oggi, gli immigrati extracomunitari nel nostro paese commettono alcuni reati (furti, spaccio e traffico di stupefacenti, rapine, omicidi) più spesso degli italiani". La terza è: "il forte aumento della criminalità (furti, spaccio e traffico di stupefacenti, rapine ed omicidi), che vi è stato in Italia nell’ultimo decennio è stato provocato dagli immigrati". La quarta proposizione è: "in tutti i paesi occidentali, gli immigrati hanno sempre commesso alcuni reati più spesso degli autoctoni". Se chiediamo ad un campione rappresentativo di italiani di dire, per ciascuna proposizione, se è vera o falsa, ci accorgeremo che essi tendono a considerarle tutte vere o tutte false e che il loro giudizio varierà a secondo del livello di istruzione e dell’orientamento politico. Ma se consideriamo questo un tema di ricerca, raccogliamo dati sulla situazione italiana dell’ultimo decennio, esaminiamo la letteratura scientifica prodotta negli Stati Uniti ed in molti paesi d’Europa, vediamo invece che le prime due proposizioni sono vere e le altre due false.



La prima proposizione




Per la verità, per dire se la prima proposizione è vera non è necessario raccogliere dati o fare ricerche bibliografiche. Basta un po’ di buon senso. In ogni popolazione umana vi sono sempre un certo numero di persone che, magari solo per una breve fase della loro vita, commettono reati. Dunque, se cento mila, cinquecento mila o un milione di persone immigrano in un paese possiamo stare certi che in questo paese aumenterà il numero dei reati (anche se gli immigrati ne commettono meno degli autoctoni), così come aumenterà il numero delle nascite, delle morti e dei matrimoni o la domanda di abitazioni, di auto, di scarpe o di pomodori.



La seconda proposizione




Molto più complesso è invece sottoporre a verifica la seconda proposizione. Per farlo dobbiamo lavorare su dati. Ma su quali ? Normalmente, coloro che sostengono che gli immigrati provocano un aumento delle forme di devianza citano tre "prove" che considerano "inconfutabili": gli immigrati monopolizzano lo spaccio della droga; immigrate sono le donne che si prostituiscono nelle strade e nei viali; di immigrati sono stracolme le nostre carceri. Si tratta di argomenti sicuramente efficaci, perché fanno riferimento a realtà (lo spaccio e la prostituzione) che una parte degli italiani che vivono nei centri urbani ha avuto modo di osservare direttamente. E tuttavia essi forniscono un quadro parziale e distorto di quanto sta avvenendo nel nostro paese.

Che la presenza degli stranieri negli istituti di pena sia fortemente aumentata è indubbio. Dal 1991 al 1996, il loro peso è passato dal 16 al 28%. Ma vi sono molti buoni motivi per considerare questo come il meno affidabile degli indicatori dei reati commessi nel nostro paese da cittadini non italiani. In primo luogo, è noto che si entra e si resta in carcere per ragioni del tutto diverse: per custodia cautelare, in attesa di giudizio, e in esecuzione di pena, dopo la condanna definitiva. Ma, a parità di reato commesso, la custodia cautelare è imposta più spesso agli stranieri che agli autoctoni (come vedremo nel prossimo capitolo). In secondo luogo, a parità di pena, gli stranieri godono meno degli italiani delle misure alternative e di pene sostitutive alla detenzione. In terzo luogo, i reati commessi di solito dagli stranieri sono proprio quelli che più spesso portano in carcere. Gli indicatori più affidabili sono dati dalla quota degli stranieri sul totale dei condannati o sul totale dei denunciati per i vari reati. Per evitare fraintendimenti è bene tuttavia che il lettore tenga presente che questa quota comprende sia gli stranieri muniti di permesso di soggiorno che quelli che ne sono privi.

Nel 1998, la quota degli stranieri sul totale dei condannati variava a seconda dei reati, ma era in generale abbastanza contenuta. Per i furti era il 6,9%, per le rapine il 3,4%, per la produzione, il traffico e lo spaccio di stupefacenti era il 6,8%, per la ricettazione il 3,9%, per le estorsioni l’1,9%, la violenza carnale il 5,9%, l’omicidio tentato l’1,4%, l’omicidio consumato il 2,4%. Bisogna poi tenere conto del fatto che la popolazione immigrata ha una composizione per sesso ed età diversa da quella italiana, nel senso che è più giovane ed ha una quota di maschi più elevata. E noi sappiamo che, in tutti i paesi, sono i giovani maschi coloro che più spesso commettono i reati dei quali ci stiamo occupando. Per mettere a confronto immigrati ed italiani dobbiamo dunque tenendo sotto controllo le variabili sesso ed età. Seguendo questo giusto metodo vediamo che, nel 1988, a parità di sesso e di età gli immigrati commettevano meno spesso i reati ricordati degli autoctoni.

La situazione è cambiata negli anni successivi. Il numero degli immigrati presenti in Italia con regolare permesso di soggiorno non ha avuto grandi variazioni nel periodo che ci interessa (dal 1991 al 1995 essi sono passati da 679 a 729 mila). Invece, dal 1988 al 1996 la quota degli stranieri sui denunciati e sui condannati è fortemente aumentata. Per alcuni delitti è raddoppiata, per altri è triplicata, per altri ancora è addirittura sestuplicata. Ma la cosa che più colpisce è che questo straordinario aumento è avvenuto per tutti i reati, lievi e gravi, strumentali (rivolti cioè a raggiungere un utile economico) ed espressivi (nati cioè da azioni impulsive e fine a se stesse): furti e rapine, ricettazione e produzione e commercio di stupefacenti, lesioni volontarie, violenze carnali ed omicidi. Solo in due degli undici delitti presi in considerazione, la quota degli stranieri, pur essendo aumentata, non ha raggiunto il 6%: l’incendio doloso e l’estorsione. In valore assoluto, il reato per il quale è stato condannato il numero più alto di stranieri é il furto. Il reato in cui vi è stata una crescita più rapida della quota di stranieri (che è sestuplicata, passando dal 3,2% nel 1988 ad oltre il 20% nel 1996) è stato la rapina.

Per questi reati, la crescita della quota degli stranieri sui condannati si è verificata in tutto il paese: nelle regioni del Nord ed in quelle del Sud, nei centri urbani e nei comuni di provincia, nella popolazione maschile ed in quella femminile, fra i minori, i maggiorenni giovani ed i trentenni. Ma questa crescita non è avvenuta ovunque con la stessa velocità. Cosicché la quota degli stranieri sui condannati ha raggiunto valori più alti in certi luoghi ed in certi strati della popolazione che in altri. Oggi questi valori sono eccezionalmente elevati nelle grandi città dell’Italia centro settentrionale, dove ci si è avvicinati ai livelli dei paesi europei che hanno una percentuale di stranieri sulla popolazione molto maggiore della nostra. Molto alti questi valori sono anche, per alcuni reati, nella popolazione maschile fra i 20 ed i 30 anni. Ed altissimi, nel caso dei furti, sono fra i minori.

Nel 1988, le città centro settentrionali avevano una percentuale di stranieri sui condannati per furto cinque volte maggiore di quelle meridionali. Ma negli otto anni successivi la distanza fra le prime e le seconde è ulteriormente cresciuto perché questa percentuale è rimasta quasi invariata nelle grandi città del Sud, mentre è più che triplicata in quelle del Nord. Per dare un’idea ancora più precisa di quanto è avvenuto mettiamo a confronto Milano, Genova e Palermo. Nel 1988 la città ligure, sicuramente per le attività del suo porto, aveva una percentuale assai elevata di stranieri sui condannati per furto. Il capoluogo siciliano ne aveva una molto bassa. In quello lombardo, tutti i condannati per furto erano italiani. Nella prima metà degli anni 90, a Palermo il valore di questo indicatore è rimasto costante, a Genova è aumentato lievemente, a Milano è schizzato in alto, toccando livelli impensabili.

Simile è stato l’andamento della percentuale degli stranieri sui condannati per produzione e commercio di stupefacenti. Nel 1988 la differenza fra le città del Nord e quelle del Sud era già enorme (undici volte maggiore). Eppure negli otto anni seguenti è ancora aumentata. Per vedere meglio quanto è successo, raffrontiamo questa volta Genova e Palermo con Firenze . Nel 1988, anche per questo reato, la quota di stranieri era già molto elevata nel capoluogo ligure (contrariamente a quanto hanno sostenuto alcuni anni dopo i comitati per la sicurezza). Ma negli otto anni seguenti è raddoppiata (superando il 53%). Nel capoluogo siciliano il valore di questo indicatore si è mantenuto bassissimo per tutto il periodo. Nel capoluogo toscano questo valore ha subito una straordinaria impennata.

Ancora più eloquenti sono i dati riguardanti le rapina. Nel 1988 le città del Nord avevano una quota di stranieri sui condannati per questo reato solo di poco superiore a quelle del Sud. Ma negli otto anni seguenti questa quota è più che quintuplicata nelle prime, mentre è aumentata solo lievemente nelle seconde. Il confronto più interessante è in questo caso fra Napoli e Firenze. Nel 1988 nel capoluogo campano questa quota era molto più elevata che in quello toscano. Ma la situazione è radicalmente mutata nella prima metà degli anni ‘90.

Le differenze fra le grandi città del Nord e quelle del Sud risultano ancora più chiare allargando il confronto agli altri comuni capoluogo ed a quelli non capoluogo. Dal 1988 al 1995, nel Nord la quota degli stranieri sul totale dei condannati per i tre reati considerati è sempre stata tanto più elevata quanto più grande era il comune. Nel Sud, già nel 1988 questo era vero solo per due dei tre reati. Ed oggi la quota degli stranieri sui condannati è maggiore nei comuni della provincia che nei capoluoghi.

Vittime di questi reati sono talvolta gli stessi immigrati. Lo sono sicuramente quelle prostitute che non scelgono di dedicarsi a questa attività, ma che vengono raggirate, costrette, sfruttate da gruppi di connazionali. Lo sono i minori, acquistati o affittati per essere utilizzati nelle attività illecite. Lo sono altri immigrati, donne ed uomini, che subiscono aggressioni, violenze o vengono uccisi da concittadini o da persone di altri paesi. Gli immigrati sono infine vittime di reati commessi contro di loro da cittadini italiani. In mancanza di dati di ricerca non sappiamo con che frequenza questo si verifichi. Ma sul fatto che avvenga non vi sono dubbi.

La crescita dei reati degli immigrati non vi è stata per tutte le attività illecite nè a tutti i livelli a cui queste vengono di solito svolte. Nel sistema di stratificazione sociale del nostro paese, gli immigrati si trovano ancora nei gradini più bassi. E dunque essi sono esclusi dalle possibilità di commettere determinati tipi di reati che hanno gli appartenenti ai ceti più elevati: deputati e ministri, assessori e sindaci, imprenditori e dirigenti di azienza, farmacisti, avvocati e medici. Questo tuttavia non significa che, nel sistema di stratificazione della attività illecite, gli immigrati occupino solo le posizioni più basse e meno remunerative. Certo, le rapine contro le banche, gli uffici postali e le gioiellerie continuano ad essere compiute quasi esclusivamente dagli italiani, così come sono ancora saldamente nelle mani degli italiani i settori tradizionalmente controllati dalla criminalità organizzata. Ma nel mercato degli stupefacenti, nel contrabbando, nel traffico di clandestini, nello sfruttamento dei minori e della prostituzione, gli immigrati occupano spesso anche posizioni medio alte, in termini di potere e di ricompense economiche.

Non tutte le nazionalità sono egualmente coinvolte in queste attività. Fra le straniere condannate negli ultimi anni, pochissime sono quelle provenienti dalle Filippine e dalla Cina, dall’India e dal Pakistan, dall’Egitto e dalla Nigeria, dall’Etiopia e dal Senegal, dalla Somalia e dal Ghana, dall’Argentina e dal Brasile. Il peso degli altri gruppi varia a seconda del reato e della posizione occupata nel sistema di stratificazione delle attività illecite. I furti e le rapine vengono compiuti soprattutto dagli ex jugoslavi di entrambi i sessi(spesso minori nomadi), oltre che da marocchini, algerini e tunisini; la spaccio di eroina da marocchini e tunisini; il traffico di marijuana da albanesi, quello di cocaina da sud americani, lo sfruttamento della prostituzione da albanesi e nigeriani.